Negli ultimi anni, i termini neurodiversità e neurodivergenza sembra che abbiano trovato maggiore spazio nelle discussioni legate al mondo del lavoro.
Quando parlo di neurodivergenza nei miei contenuti, mi riferisco al settore tech semplicemente perché è l’ambito in cui lavoro e di cui conosco meglio le dinamiche. Ma ovvio che alcuni aspetti sono estendibili all’intero mondo lavorativo.
5 o 10 anni fa, percepivo molto più stigma e pregiudizi intorno a certi argomenti. Ricordo ancora lo scetticismo dei miei interlocutori quando ai tempi dell’Università, nel 2013, avanzavo per la prima volta l’ipotesi che fossi nello spettro autistico. Come ricordo, tra il 2018 ed il 2019, la difficoltà di trovare una dimensione lavorativa adeguata al mio funzionamento.
Oggi sembra esserci più attenzione e apertura verso le persone neurodivergenti. Un termine utilizzato per indicare non solo le persone nello spettro autistico, ma un termine “umbrella” che indica un insieme di persone con un funzionamento neurologico che “diverge dalla norma”. Non intesa come un’anomalia ma una diversità rispetto quella che è considerata la maggioranza. (Ripeto e spiego meglio questo concetto più avanti).
Tuttavia, il rischio è che questa consapevolezza rimanga limitata a gruppi o ambienti già sensibili al tema, creando così una sorta di “bolla” in cui si parla di neurodiversità senza che l’impatto si estenda all’intera società.
E nonostante l’eco e la viralità dei social abbiano contribuito alla divulgazione di certe tematiche, un rischio diametralmente opposto è di far diventare questo interesse solo una tendenza temporanea, una “moda”. Oppure di trattarlo con superficialità sfruttando la viralità del momento.
La verità è che, nonostante i progressi, il riconoscimento e il supporto delle neurodivergenze non possono essere interesse solo di nicchie o ambienti specifici.Per questo motivo ho ritenuto opportuno approfondire, ancora una volta, perché è importante parlare di neurodiversità nel tech e nel mondo lavorativo. Andando oltre quello che già è stato detto sui social.
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A proposito di “bolle di informazione”, non diamo per scontato che tutti abbiano già acquisito le nostre stesse informazioni. Gli algoritmi infatti tendono a proporre contenuti simili a quelli con cui abbiamo già interagito noi o qualche nostro contatto.
Per questo motivo potrebbe sembrare che tutti parlino degli stessi argomenti e che alcune tematiche siano ormai sdoganate.
Per cui, anche se sembra di ripetere alcuni concetti, potrebbe essere utile ogni tanto riproporre contenuti che educano e informano. Il primo passo è sempre contribuire a divulgare le informazioni (corrette).
Repetita Iuvant.
Nel mio piccolo cerco di sensibilizzare al tema in quanto nel settore lavorativo digitale e tech sembra esserci una maggiore presenza di persone neurodivergenti.
Differenza tra neurodiversità e neurodivergenza
Questi due termini vengono a volte utilizzati come sinonimi ma non lo sono.
La neurodiversità si riferisce all’insieme di differenze biologiche dei cervelli umani. Che possono essere appunto infinite.
Il termine neurodivergenza invece si riferisce alle variazioni neurologiche ed i funzionamenti che si discostano dal funzionamento considerato neurotipico. Ovvero, il funzionamento della maggioranza delle persone. (Possiamo ancora definirlo tale dopo l’aumento delle diagnosi tardive negli ultimi anni?).
Eleonora Marocchini, nel suo libro Neurodivergente, giustamente sottolinea che con questo termine diciamo (quasi) niente. Perché, come spiegavo all’inizio, il termine abbraccia un insieme di funzionamenti molto ampio. Per cui dicendo che una persona è neurodivergente, non stiamo indicando un funzionamento specifico, e può potenzialmente avere una molteplicità di modi di funzionare.
Personalmente, preferisco definirmi neurodivergente in quanto utilizzare il termine generico mi evita di dover essere specifica e dover elencare le mie comorbidità.
Si è di fronte ad una comorbidità quando la diagnosi comprende più funzionamenti o disturbi. Ad esempio, alcune persone sono sia autistiche che ADHD e si definiscono così AuDHD.
Non solo questione di talenti
Negli ultimi anni, come accennavo, questi termini sono diventati sempre più conosciuti anche al di fuori dei gruppi di persone neurodivergenti, anche grazie alla sensibilizzazione e l’attivismo delle persone stesse.
Questo sta favorendo sicuramente la consapevolezza dell’esistenza di persone che hanno un funzionamento diverso dalle persone neurotipiche e quindi che hanno anche esigenze e necessità diverse.
Ad esempio, le persone con ADHD possono avere difficoltà a mantenere (o distogliere) l’attenzione ma eccellere nel pensiero creativo ed avere idee rivoluzionarie, mentre chi è autistico potrebbe preferire routine strutturate e avere un’attenzione particolare ai dettagli. Allo stesso modo, chi vive con dislessia potrebbe trovare ostico leggere testi lunghi ma avere una spiccata capacità di ragionamento visivo e creativo. Pur sottolineando che anche queste rimangono delle generalizzazioni ed ogni persona è un mondo a sè.
Gli ambienti aziendali e il lavoro per come lo conosciamo strutturato oggi, potrebbe però rappresentare una sfida. In quanto a volte queste caratteristiche possono non conciliarsi perfettamente con quello che la società si aspetta (a volerla dire tutta, alcuni ambienti non sono a misura di persona, probabilmente per nessuno, neurotipico e non).
Inoltre, dal mio punto di vista, forse si parla di talenti neurodivergenti in modo troppo romanzato. Prima di essere dei “cecchini” nei dettagli e dei talenti naturali nell’hyperfocus, siamo delle persone. E come tutte le persone vorremmo realizzarci e che ci sia data la possibilità di farlo senza sconti ma semplicemente mettendoci nelle condizioni adeguate di poterlo fare, secondo il nostro funzionamento.
Diritti ed uguaglianza
Parlare di neurodivergenza non significa quindi chiedere trattamenti di favore, ma semplicemente puntare a un mondo del lavoro più equo ed in cui non sia preclusa la possibilità di carriera.
Spesso, infatti, le persone neurodivergenti devono affrontare discriminazioni sottili o palesi: dall’essere escluse da opportunità di crescita, a battute inappropriate o pregiudizi che minimizzano le loro capacità.
Senza considerare le possibili difficoltà personali della vita neurodivergente di tutti i giorni, che vanno dalla sensibilità sensoriale alla gestione dell’energia, fino alla difficoltà nelle relazioni interpersonali o situazioni imprevedibili. Tutto questo amplifica il senso di fatica e sovraccarico già presente in contesti lavorativi o sociali non adatti.
Eliminare lo stigma è quindi fondamentale.
Questo passa attraverso la comprensione che le neurodivergenze non sono un limite intrinseco, ma richiedono l’adozione di strumenti e approcci differenti. Non si tratta solo di “essere gentili” o “inclusivi” perché va di moda, ma di riconoscere che creare un ambiente inclusivo è un atto di giustizia sociale.
Benessere lavorativo
Un aspetto spesso sottovalutato è il benessere lavorativo delle persone neurodivergenti.
Lavorare in un ambiente che non tiene conto delle nostre esigenze specifiche può portare rapidamente a burnout, stress cronico e, nei casi più gravi, a conseguenze sulla salute mentale già minata dalle difficoltà che possono insorgere nella gestione della quotidianità.
Le aziende dovrebbero chiedersi se l’ambiente di lavoro è davvero adatto a valorizzare tutti i membri del team.
Questo significa ripensare ai processi e modalità di lavoro. Spazi tranquilli, flessibilità, opzioni di lavoro da remoto, gestione chiara della comunicazione e feedback strutturati. Sono solo alcune idee che potrebbero migliorare significativamente l’esperienza lavorativa per tutti, non solo per chi è neurodivergente.
Potenziale inespresso
Infine, considerando che le aziende amano parlare di talenti, risultati e performance: quanto valore è andato perso perché chi aveva il potenziale per esprimerlo non è stato messo nelle condizioni giuste per farlo emergere?
Quando un’azienda non valorizza il potenziale delle persone neurodivergenti, perde molto più di un singolo talento: perde la possibilità di considerare prospettive diverse.
Non si tratta solo di performance lavorativa, ma di creare un sistema dove ognuno possa contribuire al meglio delle proprie possibilità. E quando ciò accade, il vantaggio non è solo per le persone neurodivergenti, ma per l’intera azienda. Innovazione e inclusività, infatti, vanno spesso di pari passo.
Si tratta, quindi, di mettere da parte il caro vecchio approccio del “si è sempre fatto così” e creare le condizioni in cui le persone possano esprimere al meglio le proprie capacità. Questo significa ascoltarle, comprendere le loro reali esigenze e l’impegno per apportare cambiamenti concreti internamente all’azienda e nei gruppi di lavoro.